Le guerre oggi in corso nel mondo accendono discussioni sulla necessità di giungere alla pace. Le guerre seminano distruzione e morte e bisogna farle cessare a tutti i costi. La guerra in Ucraina attaccata e invasa dalla Russia e quella della Striscia di Gaza martoriata per ritorsione a una sua aggressione attraggono la quasi totale attenzione dei governi e dell’opinione pubblica. È nel mondo quasi da tutti condiviso l’auspicio che cessino le armi e si ponga fine alle distruzioni. Non è da tutti condiviso il modo di farle cessare, di porre fine alla distruzione e di giungere alla pace. Quasi metà degli opinionisti sostiene che è impossibile conseguire la pace se i belligeranti, o uno di essi, non la vuole e che, per conseguirla, bisogna aiutare, rifornire di armi e di risorse la nazione aggredita fino a farla vincere e prevalere sulla nazione che aggredisce. Quasi l’altra metà degli opinionisti spiega che è sbagliato preparare e alimentare la guerra con l’invio di armi e di aiuti alla nazione aggredita e che occorre, al contrario, seguire una via nuova, quella dell’accordo, che solo la diplomazia può percorrere e portare a termine conseguendo la pace.
Secondo i pacifisti, che hanno scoperto la via nuova per uscire dalla guerra, l’Occidente, soprattutto gli Stati Uniti, l’Ue, la Gran Bretagna e quindi la Nato, hanno protratto e stanno protraendo le guerre in corso avendo fornito e continuando a fornire armi, sostegno e consenso alle nazioni aggredite. A loro avviso, per evitare di protrarre le guerre e per potere giungere alla pace, i Paesi occidentali avrebbero dovuto e dovrebbero prendere l’iniziativa, organizzare un’azione diplomatica per mettere d’accordo le nazioni in guerra e conseguire la pace. E avrebbero dovuto trovare e percorrere la via diplomatica per scongiurare il rischio che il paese aggressore, sentendosi sopraffatto, potesse e possa ricorrere all’impiego della bomba atomica. Il rischio non è certo da sottovalutare considerando le minacce di ricorrere nel caso estremo all’impiego dell’atomica che il capo del governo della Russia ha fatto diverse volte. Le sue minacce influirono sui pacifisti a tutti i costi, i quali concentrarono la loro attenzioni sulle guerre in corso in Ucraina e nella striscia di Gaza, il cui esito avrebbe potuto scatenare la terza guerra mondiale e l’impiego delle armi atomiche. Le altre decine di guerre in corso nel mondo non destarono le stesse paure e non furono oggetto dell’attenzione di molti.
Ma la pace da ottenere per via diplomatica, qualora fosse conseguita, sarebbe una pace permanente o una pace provvisoria, temporanea, come tutte le paci che conclusero le guerre nel passato?
Se vuoi la pace prepara la guerra, dicevano i romani antichi. Dicevano prepara la guerra, non fai la guerra, come è parso a qualche sottile intellettuale e politico pacifista in uno degli innumerevoli dibattiti televisivi. Preparare la guerra significa non farla o volerla, ma munirsi di armi per difendersi da essa. Certo, i paesi in guerra possono giungere alla pace per via diplomatica, interrompendo il conflitto in corso prima di arrivare alla conclusione con un vinto e un vincitore. E percorrere la via diplomatica è auspicabile e utile, interrompe un processo letale e distruttivo e porta alla pace che, come tutte le paci, è temporanea, anche se duratura nel tempo. È una pace che si può realizzare qua e là, tra due o più paesi belligeranti, riguarda cioè un limitato settore della superficie del pianeta. Essa durerà finché le nazioni in pace saranno soddisfatte di quel che hanno ottenuto e non vogliono, prima o poi, volere o rivendicare altro che loro non hanno e che possiede il vicino. Il ritorno alla guerra non è una possibilità immaginata, ma una eventualità molto probabile. Finché nella natura umana esisterà il desiderio e finché tra gli uomini, tra le comunità e tra gli stati ci sarà disparità di fortune, esploderanno aggressioni e guerre, immancabili conflitti locali e più o meno globali. Nell’umanità la pace globale ed eterna è impossibile. Nei periodi di pace temporanea, anche se lunghi di secoli, di cui qua e là godono le nazioni, sono ininterrotti i conflitti all’interno di popoli e stati, nella società, tra famiglie, tra gruppi, tra gang. Negli stessi periodi, in cui tacciono i conflitti esterni ma proseguono quelli interni, gli abitanti dei paesi che godono di una lunga pace si assopiscono, si accendono solo per soddisfare meschini interessi, bisogni individuali e divengono incapaci di mobilitarsi, anche ricorrendo alle armi, per difendersi dalle aggressioni di altri popoli di altri stati. E i popoli, gli stati, le comunità che aggrediscono ci saranno sempre nel mondo finché negli uomini albergherà il desiderio e ci sarà disparità di fortune tra popoli. Se una parte del mondo procura di vivere in pace e di progredire, altre parti del mondo arretrate o solo meno progredite vogliono altro, che vedono abbondare nella parte progredita e ricca. E nel mondo ci saranno sempre parti di umanità arretrate o meno progredite di altre, ma esuberanti di umane energie. Esse tendono, finché riescono, ad aggredire e a sopraffare con la guerra o con l’invasione subdola o consenziente le parti ricche e progredite. Prima o poi ci riescono perché le parti progredite si sono impoverite di energie umane e sono prive di voglia di difendersi, con insufficiente popolazione attiva e produttiva, incapaci di procreare, bisognose di essere vinte, invase e integrate. La guerra, minuscola o cosmica, esterna o interiore, tra e nei popoli, tra e nei singoli individui, è uno sbocco, un bisogno inalienabile e inevitabile, figlio del desiderio e della disparità di fortune. La continua presenza di guerre è varia qua e là nel mondo ed è tetragona ad ogni cura, ad ogni azione diplomatica e ad ogni auspicio e ad ogni tentativo di pace permanente e globale.