Gli Stati dell’Unione europea del terzo decennio del Duemila continuano a somigliare agli Stati italiani del Quattrocento. Sono parte dell’Europa che forse l’ex segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, Henry Kissinger, definiva «gigante economico, nano politico e verme militare». Nonostante l’Unione, che per molti aspetti si può dire solo formale, essi sono disuniti, agiscono ognuno per conto proprio badando spesso solo ai propri interessi anche in momenti critici e di pericolo. Ognuno di essi conduce la propria politica interna, estera, commerciale, militare e difensiva. Se si esclude il controllo che subiscono in qualche settore dell’economia e della finanza pubblica, essi sono pressoché indipendenti.
Nel Quattrocento, anche gli Stati italiani, da Milano a Palermo, erano indipendenti e rimasero tali nonostante la Lega italica creata nel 1454 e la politica di Lorenzo il Magnifico che mirava a garantire l’equilibrio e la pace. Anche allora l’Alleanza sanciva il reciproco aiuto degli Stati membri in caso di attacco all’integrità di uno di essi. Ma essi non ne fecero tesoro. La Lega, la politica dell’equilibrio e l’auspicio della pace ebbero scarsa efficacia. Contrasti e conflitti tra gli Stati ripresero presto. Il governo di ognuno di essi conduceva la propria politica e aveva taciti o palesi rapporti conflittuali con gli altri Stati. La Lega prescrisse la loro concordia, che fu e restò relegata nelle buone intenzioni, talvolta osservata formalmente e spesso violata nei fatti. Tra loro quegli Stati restarono disuniti, guardinghi, si osservavano in cagnesco, guerreggiavano, ma si alleavano spesso con Stati d’Oltralpe per averne il sostegno nella lotta contro il vicino. Eppure avevano tutti i requisiti per evitare i permanenti reciproci conflitti. Erano floridi, ricchi, splendenti di cultura e di opere d’arte, armati. Vantavano eccezionali e geniali creatori, artisti, letterati, imprenditori. Oltre le grandi opere dell’ingegno, partorirono e allevarono fondamentali strumenti della finanza e dell’economia. In quegli Stati nacquero grandi banche, capillari istituti di credito germinati dai Monti di pietà, aziende imprenditoriali, industriali e commerciali. L’alacrità, il benessere, lo splendore furono caratteri essenziali degli Stati italiani in quei decenni del Quattrocento, in un’epoca di Rinascimento, in cui quegli Stati della penisola italica, ricchi ma divisi, insegnarono ad altri il da fare. Quel loro Rinascimento, di eccelso valore universale, fu il segno dell’abilità e della genialità che esplodevano in quegli Stati, ma non della loro capacità di mobilitare le loro forze per unirsi e per dar corpo a un consistente ed efficace potere politico. Quegli Stati italiani restarono divisi e gelosi della loro propria individualità. E la loro ricchezza e raffinatezza si rivelarono malsicure: poggiavano sul potere politico e militare relativamente debole. Le loro divisioni furono all’origine della loro fine ingloriosa. Mezzo secolo dopo, quasi tutti quegli Stati, tranne la repubblica di Venezia, perdettero la loro indipendenza. Furono invasi, conquistati, dominati da Stati europei uniti e forti, che avevano curato il loro potere politico e militare. Gli invasori e conquistatori, la Francia, la Spagna e, poi, l’Austria erano Stati forti e potenti e dotati di capacità espansive e militari perché erano riusciti a unificare le diverse componenti e i diversi potentati un tempo autonomi, semindipendenti e recalcitranti.
Gli Stati dell’Unione europea del Duemila hanno caratteri analoghi a quelli degli Stati italiani del Quattrocento. Sono ricchi e operosi come quelli e, come quelli, sostanzialmente disuniti e privi di un efficace potere politico e militare. Si può dire che anche la loro sorte sia analoga. Si può prevedere che, se persiste la loro effettiva disunione, la loro sorte potrebbe non essere dissimile da quella degli Stati della penisola italiana. Certo potranno giovarsi dell’apporto di uomini e mezzi derivante dall’appartenenza all’Alleanza atlantica (Nato). Ma, nel caso di emergenza, non si può prevedere se e quanto esso sarà pronto, sufficiente ed efficace. Si può dire invece che se l’Unione europea resterà incompleta com’è, la difesa degli Stati che ne fanno parte sarà problematica in caso di emergenza e di pericolo. Se continueranno a fallire le prospettive e gli auspici di una loro comune e rapida unione politica e militare, la loro difesa sarà aleatoria, rischiosa: dipenderà dalla prontezza, dall’efficienza e dall’efficacia delle capacità e delle decisioni della Nato. Se queste non fossero pronte o fossero inadeguate o venissero meno, i fiorenti Stati europei dell’Unione potrebbero essere preda di aggressori forti e agguerriti. In tal caso, agli Stati europei senza difesa toccherebbe la stessa sorte subita dagli Stati italiani del Rinascimento. Anche allora quegli Stati divennero prede, ad uno ad uno, delle mire espansionistiche di Francia e Spagna, i cui eserciti invasero, sottomisero e fecero loro domini quegli Stati che fino a poco prima erano stati indipendenti e fiorenti.
In Europa, il 24 febbraio 2022 la Federazione russa iniziava una nuova guerra o, com’essa sosteneva, «un’operazione speciale», incominciando a invadere l’Ucraina. Faceva prevedere che il suo potente esercito avrebbe in pochi giorni spazzato via ogni resistenza. Pertanto si fece strada il timore che la Russia, dopo la rapida vittoria, avrebbe sconfinato e occupato quanto meno i limitanti Paesi europei dell’Ue che avevano fatto parte dell’Urss (dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). Si temette quindi che allo sconfinamento sarebbe potuto seguire la guerra tra la Russia e gli Stati dell’Unione europea difesi dalla Nato. Con il timore si affacciò nei governi e nell’opinione pubblica di quegli Stati l’impellente necessità di giungere presto alla loro effettiva unione politica e militare. In tutti si fece evidente che, per potere contare nel Mondo e per potere difendersi efficacemente in caso di attacco dall’esterno, si dovesse fare il passo che fino ad allora era stato impossibile fare, unendosi politicamente e costituendo una comune ed adeguata difesa. Ma quel loro timore che era appena sorto, svanì presto. L’esercito russo non si rivelò potente quanto si era previsto che fosse. La guerra in Ucraina si protraeva, andava per le lunghe anche per l’imprevista resistenza di tutto un popolo. Di pari passo si andò attenuando la paura che negli Stati dell’Ue aveva destato l’inizio di quella guerra. Con la paura andò affievolendosi in essi la necessità di munirsi di un governo comune e di un esercito adeguato. In tutti i governi e nell’opinione pubblica di tutti gli Stati dell’Ue svanì anche ogni proponimento di completare quella comune unione che poco prima molti di loro, spinti dalla paura, avevano auspicato. Ogni Stato dell’Ue tornò a privilegiare il proprio interesse politico, difensivo ed economico. Ognuno continuò a inviare i propri aiuti all’Ucraina e a porre le proprie sanzioni alla Russia. Ognuno contribuì a far mandare dall’Ue aiuti all’Ucraina e a far porre sanzioni alla Russia. Si spense ogni auspicio e ogni proposito di una politica e di una difesa comuni.
Nella seconda settimana di maggio 2022 svanì sul nascere l’unico tentativo, l’unica proposta da fare in tal senso. Emmanuel Macron, presidente della Repubblica francese, capì che l’Unione europea, per potere superare la situazione di stallo, l’immobilismo, dovrebbe modificare i trattati fondativi che ne regolavano e regolano il funzionamento. Era evidente che si doveva potere giungere alle decisioni dell’Ue con la maggioranza dei consensi e non più con l’unanimità che si era sempre rivelata una chimera, quasi impossibile da raggiungere, e si era tradotta in un veto permanente. Il leader francese si accinse a proporre in tal senso la modifica costituzionale. Ma questo suo progetto sfumò prima di tradursi in proposta. A farlo sfumare fu l’opposizione minacciata da una dozzina di Stati dell’Unione. Permane così lo stallo, l’inazione che è ben salvaguardata dagli attuali trattati. Permane pressoché irraggiungibile l’unanimità dei consensi. Ed essa non è altro che un continuo veto che incombe sulle decisioni dell’Unione.
Sfumata dunque la paura della guerra e dell’aggressione russa, ogni Stato dell’Unione europea tornò a coltivare il proprio campicello. Prevalsero così i particolari interessi di singoli Stati su quelli comuni. Prevalse l’interesse a sopravvivere di ognuno di loro sulle evidenti esigenze di prestigio, di sicurezza e di comune convenienza, proprio come era prevalso quello sovranista nei singoli Stati italiani del Quattrocento.